martedì 29 marzo 2016


Umberto Eco
Caro nipotino mio,
non vorrei che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del genere. Non vi daresti ascolto e, al momento di metterla in pratica (tu adulto e io trapassato) il sistema di valori sarà così cambiato che probabilmente le mie raccomandazioni risulterebbero datate.

Quindi vorrei soffermarmi su una sola raccomandazione, che sarai in grado di mettere in pratica anche ora, mentre navighi sul tuo iPad, né commetterò l’errore di sconsigliartelo, non tanto perché sembrerei un nonno barbogio ma perché lo faccio anch’io. Al massimo posso raccomandarti, se per caso capiti sulle centinaia di siti porno che mostrano il rapporto tra due esseri umani, o tra un essere umano e un animale, in mille modi, cerca di non credere che il sesso sia quello, tra l’altro abbastanza monotono, perché si tratta di una messa in scena per costringerti a non uscire di casa e guardare le vere ragazze. Parto dal principio che tu sia eterosessuale, altrimenti adatta le mie raccomandazioni al tuo caso: ma guarda le ragazze, a scuola o dove vai a giocare, perché sono meglio quelle vere che quelle televisive e un giorno ti daranno soddisfazioni maggiori di quelle on line. Credi a chi ha più esperienza di te (e se avessi guardato solo il sesso al computer tuo padre non sarebbe mai nato, e tu chissà dove saresti, anzi non saresti per nulla).

Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria.
È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello.

La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria.

Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro?
Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto.

Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis.

C’è poi la memoria storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi.

Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove.

Ora la scuola (oltre alle tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse - e invece è stato ucciso dalle Brigate Rosse.

Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi.

Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la nostra memoria.

Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste, lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male? Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino?

Potrei continuare all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni.

Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”. 


martedì 2 giugno 2015

Insegnare è passione per l'ignoranza. Colloquio con Daniel Pennac




9 Luglio 2014 Argomento: Articoli, autore: Ilaria Tagliaferri, esperta di letteratura per l'infanzia. 
Daniel Pennac dialoga con Ilaria Tagliaferri. Dal numero 1 di “La Vita Scolastica” 2014/2015.
 
Pseudonimo di Daniel Pennacchioni, Daniel Pennac da bambino è un pessimo allievo. Classe 1944, grazie al suo amore per la lettura e la scrittura si laurea in lettere all’Università di Nizza, e a partire dal 1970 inizia la sua attività di insegnante che lo appassiona. Contemporaneamente pubblica racconti, molti dei quali ispirati alla figura di Benjamin Malaussene, di professione… capro espiatorio.
Nel 1992 esce il famosissimo saggio Come un romanzo, nel quale Pennac stila i celebri “diritti del lettore”. Ed è proprio di libri, lettura e scuola che abbiamo parlato nel corso del nostro incontro. Affabulatore ironico, critico pungente, attento ascoltatore, Pennac ci ha raccontato le sue esperienze in classe con bambini e ragazzi.
La conversazione inizia dalla lettura della lectio magistralis tenuta da Pennac all’Università di Bologna in occasione del conferimento della laurea ad honorem in pedagogia, nel marzo 2013. Il titolo del testo è assai stimolante: Una lezione di ignoranza. “Sono convinto”, dice Pennac, “che il disastro scolastico dipenda dalla paura dell’insuccesso, dalla vergogna del fallimento, dal timore per il futuro e dalla solitudine mentale. La scuola è un baluardo fragile di fronte alla demagogia e alla pubblicità”.
Ne approfittiamo per chiedere quale sia il ruolo della lettura in questo contesto, e quale il motivo per cui i ragazzi non amano leggere. “Non riesco a togliermi dalla testa l’idea che la compagnia dei nostri autori favoriti ci renda più frequentabili a noi stessi, più capaci di preservare la nostra libertà di essere, di tenere sotto controllo il desiderio di possedere e consolarci della nostra solitudine.”
Molti sostengono che i ragazzi di oggi non leggono…
I motivi per i quali i ragazzi non amano leggere sono numerosi e ce li ripetiamo tutti i giorni: colpa dell’evoluzione del mondo che ci circonda, delle famiglie monoparentali, della mancanza di tempo e dei troppi impegni, dei ritmi frenetici... ma non è mai colpa degli insegnanti?
Vi propongo un esperimento: se all’inizio dell’anno scolastico vi mettete di fronte a una libreria (o in una biblioteca!) vedrete ragazzi che vi si presentano con la lista, come in farmacia, dei libri prescritti (da noi in Francia: una spruzzata di Baudelaire e dieci gocce di Balzac al giorno!), dietro alla quale riemergeranno con aria spaesata e stanca. Spesso l’indifferenza da parte loro alla lettura è causata dall’insegnamento “medico-legale” della letteratura, mentre è importante formare il lettore. Dobbiamo stare attenti a non diventare guardiani del tempio, e impegnarci invece a essere passeur.
Può spiegarci la differenza?
I guardiani del tempio sono ovunque: ce ne sono tra i medici, i giuristi, e anche tra gli insegnanti. Si riconoscono da ciò che decretano e da ciò che deplorano. Decretano eccellenza e deplorano mediocrità, ma non sono capaci di trasmettere niente, si sottraggono a ogni responsabilità personale. Guardiano del tempio non è una funzione, è uno stato d’animo, un ruolo. È la lettura limitata alla conoscenza, che viene considerata proprietà privata.
I passeur invece sono coloro che trasmettono la cultura agli altri. Sono i curiosi di tutto, quelli che leggono tutto, che non confiscano... Passeur sono i genitori che si augurano di trasformare i figli in lettori, gli insegnanti le cui lezioni ci spingono a correre in libreria, i traduttori che aprono le frontiere dei paesi alle letterature, i librai che insegnano ai clienti i criteri della classificazione dei libri per far sì che la loro libreria diventi l’universo prediletto dal cliente, i bibliotecari capaci di raccontare i romanzi sui loro scaffali, gli editori che non rispondono alle logiche del mercato, i lettori che si ritrovano con una libreria piena di testi brutti perché quelli belli li hanno prestati senza la pretesa di riaverli indietro.
Come insegnante quali sono stati i suoi primi gesti per essere “passeur”?
La lettura è in grado di rendere luminosa la nostra solitudine, e per conciliarsi con essa è molto importante la noia: quando insegnavo, prescrivevo ai miei alunni venti minuti di solitudine e di noia al giorno. Dicevo loro di tornarsene a casa, di non parlare con nessuno lungo la strada e di non fermarsi al bar con gli amici. "Entrate in camera", dicevo "sedetevi sulla sponda sinistra del letto e prendete un orologio. Resistete così per 20 minuti, senza parlare, senza telefonare, senza studiare, senza fare niente. Domani me lo racconterete".
I cambiamenti sociali quanto hanno influito sull’essere bambini oggi?
I nostri alunni non sono certamente più quelli di cinquant’anni fa. Da allora infanzia e adolescenza hanno cambiato statuto, sono diventate clienti della società dei consumi.
Ai tempi in cui ero ragazzo si mangiava ciò che c’era in tavola e si leggevano i libri che trovavi nella libreria di casa tua, non c’era una letteratura specifica per i ragazzi, mentre oggi tutto è mutato, nel consumo di cibo, di giochi, nei mezzi di trasporto e comunicazione, nella scelta dei libri.
C’è un sentimento di maturità sociale che accomuna bambini e genitori, ed essi rivendicano gli stessi diritti, gli stessi telefonini, videogiochi. In questo modo adulti e ragazzi si collocano nell’ambito dell’“avere” ma sono convinti di stare in quello dell’“essere”. La nostra missione è quella di rimettere a posto i due campi.
Quali consigli dà agli insegnanti per avvicinare i ragazzi alla lettura?
Negli anni Ottanta leggevo ai ragazzi delle mie classi i libri ad alta voce e facevo loro imparare dei passaggi a memoria, spesso si trattava degli incipit. Numeravo ogni libro, uno per ogni settimana, poi giocavamo a interrogarci a vicenda chiamando il numero “dimmi il 3, dimmi il 7!” e anche io entravo nel gioco insieme a loro.
In questo modo mostravo loro come la mia memoria, a quarant’anni, fosse molto più labile della loro. Il discorso della memoria è fondamentale quando si parla di lettura, perché il mio scopo era che si costruissero una biblioteca mentale da portarsi dietro nel tempo, nel futuro.
Pensavo sempre al futuro quando leggevo per loro. Tant’è che mi è capitato una volta di incontrare un mio ex allievo che mi ha guardato fisso e si è messo a recitare l’inizio di Cent’anni di solitudine, che avevamo letto insieme quando lui frequentava la seconda media. Mi disse che ero stato io a infondergli la passione per la lettura: e adesso di professione fa il pilota di aerei, e mi ha confessato di avere l’abitudine di inserire il pilota automatico durante il viaggio, per poter leggere in pace qualche pagina. Al che non ho potuto fare a meno di chiedergli su quale tratta voli!
Oggi abbiamo classi con bambini di origine straniera: non è più difficile appassionarli alla lettura?
Quando c’erano molti bambini stranieri con una minima alfabetizzazione in francese chiedevo loro di tenere un quaderno vicino al letto, a casa, e di scrivere i loro sogni al mattino, di getto, anche con poche frasi. In classe dovevano raccontarmeli, leggermi ciò che avevano scritto e poi li riscrivevamo insieme, correttamente, rispettando le regole grammaticali. Niente interpretazioni: l’esercizio era utile per la scrittura e per fare un confronto tra le due dimensioni, quella del sogno e quella del racconto.
Come cambia l’atteggiamento dei ragazzi che diventano lettori nei confronti di coloro che ancora non si sono riconciliati con la lettura?
In Come un romanzo ho scritto il primo dei diritti, quello di NON leggere: notavo che i bambini che si erano riconciliati con la lettura tendevano a disprezzare quelli che non lo avevano fatto, scordandosi che poco prima a non leggere erano proprio loro stessi. La lettura è un atto in cui si tende a ieratizzare inconsciamente il lettore. Ho lottato a lungo contro la propensione dei ragazzi riconciliati con la lettura a diventare loro stessi guardiani del tempio, mentre dovevano comunque e sempre essere passeur.
Qual è il compito principale degli insegnanti?
Ho sempre avuto passione per l’ignoranza, e ho sempre pensato che fosse un problema intellettualmente stimolante... ma i miei professori non si sono mai appassionati alla mia! Secondo me diventare insegnante vuol dire proprio questo: appassionarsi all’ignoranza, trovare in essa la radice della creatività, della conoscenza, a qualsiasi età. Mia figlia, quando mi vede maldestro al pc, sa che per insegnarmi a usarlo deve avere molta, moltissima passione pedagogica nei mie confronti.
I libri di Pennac
Daniel Pennac è autore di numerosi libri, tutti di grande successo; tra i suoi libri per bambini, ricordiamo: il ciclo di Malaussène, pubblicato da Feltrinelli, Il paradiso degli orchi (1985); La fata Carabina (1987); La prosivendola (1989); Signor Malaussène (1995); La passione secondo Thérèse (1998); Ultime notizie dalla famiglia (1995-96); Signori bambini (1997); La lunga notte del dottor Galvan (2005), il ciclo di Kamo, 1994-1996 pubblicato da Einaudi Ragazzi; Il giro del cielo (1997, Salani). Tra i saggi: Come un romanzo (1992); Diario di scuola (2008), Storia di un corpo (2012), tutti editi da Feltrinelli.